Il mio soggiorno
16 Mag 2020
La persona che ama di più il mio soggiorno è Tito. Sta spesso seduto sul piccolo divano di velluto rosa e parla gesticolando. Le sue mani belle mimano i contorni di paesaggi lontani e accompagnano le sue parole come bizzarri esecutori di pensieri che prendono forma. Tito porta spesso un maglione a quadri bianco e nero che gli sta d’incanto sopra il cuore.
Il mio soggiorno è una stanza molto grande: contiene due divani e due poltrone. I divani sono della vecchia casa di mia madre. Uno dei due è giallo a fiori così come le due poltrone. Le maniglie delle poltrone sono di legno scuro, anche i piedi del divano e la sua parte posteriore. L’altro divano è molto piccolo ed è rivestito di velluto rosa cipria. La struttura è di legno, le borchie che fissano il velluto al legno d’ottone. E’ un divano romantico e particolare. Ci possono stare sedute due persone magre, oppure una grassa, non di più.
Tito ama quel divano, si siede quasi sempre lì. Racconta dei suoi viaggi e del suo lavoro, di qualcosa che ha letto, di cosa cucinerà per cena. A volte scoppia a ridere, ride di se stesso. Di quel che dice. Uno dei motivi per cui mi piace tanto Tito è questo. Sa prendersi in giro da solo.
Sotto i divani c’è un tappeto a strisce verdi, arancioni e grigie. Nell’altra metà stanza c’è un lungo tavolo del settecento, dieci sedie, due credenze, una cassapanca, un tavolo piccolo molto simile a quello grande, sempre del settecento. Ci sono inoltre due grandi finestre: una che guarda sul cortile e una sulla strada. La stanza è soprelevata rispetto alla strada di circa due metri, mentre dalla parte del cortile non c’è dislivello. La mia casa è posizionata in maniera strana, rasente le mura della città.
Tito sta sul divano rosa, parla di onestà. Taglia l’aria con le mani. Parole come tenaglie risucchiano l’ossigeno mentre dice che un futuro di giustizia ci sarà. Non so da dove venga la fede incrollabile nella vittoria del bene sul male, nel pentimento universale, nel perdono e nella pietà. E’ convinto che le idee sono il motore del mondo, che il bene è più forte del male e che prima o poi vincerà. Dice che secondo il filosofo tedesco Hegel ‘il bene’ è la libertà realizzata, lo scopo ultimo del mondo. ‘Il male’, al contrario, la sua totale negazione. Il bene non viene desiderato in qualità di perfezione della realtà, anzi: esso è perfezione e realtà proprio perché viene desiderato.
Oddio … Io non so perché Tito insista a parlare di bene e male come se si dovesse mangiare filosofia ad ogni pasto, ma so che per lui questo argomentare è fondante, dà senso alla sua vita. Tito è un idealista, uno che considera l’idea al pari della materia. Parlare di Hegel e poi raccogliere gli spinaci, pulirli, lavarli, farli bollire, schiacciarli, lasciarli raffreddare, mangiarli. Ogni operazione deve avere il suo tempo, il suo rigore e una sua propedeuticità. Tito è un amico di famiglia, piace a mia madre e anche a me. Mia nipote si incanta a guardarlo. Credo che sia perché è bello. Alto, magro, occhi azzurri. Un classico. Le sue mani lunghe si muovono come ramoscelli al vento, come magre liane, come tentacoli buoni e flessuosi. Una eleganza d’altri tempi concentrata in quelle mani, che perforano l’aria, al pari delle sue parole. Sta seduto sul divano del soggiorno e scaccia gesticolando la mediocrità. Per lui e per noi, per chi arriva e resta incantato dal suo mimare e spiegare. Tito parla di rigore e di verità.
A fianco dei divani c’è una grande libreria. Contiene migliaia di Libri. Letteratura, storia, biologia, arte e tantissimi romanzi. Mia madre li ha letti tutti, mia sorella legge tutti i vocabolari e le enciclopedie, io non so … quel che mi ispira a seconda del momento e dell’umore e anche un po’ a caso. Mi piace il caso, sembra insegnare qualcosa. Porta messaggi a modo suo, allenta un po’ la tensione per il futuro. Siccome non tutto dipende da noi, ma anche dal caso, ciò che succederà non è solo ciò che noi vogliamo, ma anche l’accidentalità. Questo non è stressante, al contrario. E’ sano pensare che ci sia qualcosa che dipende dal cosmo e non solo da noi. E’ un percepire qualcosa lontano dall’individualismo smodato e dalla sua autoreferenzialità. Tito, con le sua mani belle, prende un libro, lo apre a caso, legge qualche riga e dice che ha capito. “Capito, capito” e poi declama a voce alta: “Dobbiamo essere grati alle persone che ci rendono felici. Sono i premurosi giardinieri che fanno fiorire la nostra anima.” E’ Marcel Proust, non so in che libro. Sembra che dalla bocca di Tito le citazioni raccolte a caso acquisiscano senso. Come se tra il suo palato e la sua lingua si mescolassero di nuovo le lettere di un racconto già scritto, per diventare parole vive che lui pronuncia come se fossero un po’ sue, pensate e scritte da lui. Le parole riconquistano un sentimento e un senso. Il suo pensare rigoroso e la nostra abitudine ad attribuire ai suoi discorsi importanza, fa sembrare qualunque sua citazione un prolunga